Dopo una settimana piovosa e fredda, finalmente il ritorno del sole, il cielo limpido ed il cinguettio dei passeri. La primavera è così, incerta, imprevedibile. Mi affaccio alla finestra e riaffiorano alla mente i ricordi dell'infanzia: il profumo del pane cotto nel forno a legna, nel cortile un curioso viavai di gente, in cucina un inconsueto disordine. Un tempo, la mia famiglia era solita organizzare, più o meno ogni due mesi, alcune giornate dedicate unicamente alla preparazione di pane, grissini, pizza e dolci. Un vero e proprio raduno di parenti e compaesani che, tra un impasto e l'altro ed il controllo delle infornate, per nulla al mondo avrebbe rinunciato ad un vivace spettegolare. E nel periodo primaverile, soprattutto in prossimità della Pasqua, i tirà, nelle due varianti, non potevano assolutamente mancare.
Prima di scrivere questo post ho condotto qualche ricerca su Internet e non nego di aver ottenuto solamente una buona dose di perplessità. Ho sempre pensato che i tirà fossero tipici della zona di Crescentino (in provincia di Vercelli) e probabilmente di qualche paesino limitrofo. In realtà, in versione extra large e con piccole differenze negli ingredienti, sembra si tratti di un dolce piemontese prodotto a Rocchetta Tanaro (Asti) con radici antichissime.
Il termine "tirà" deriverebbe dalle feste organizzate in onore dei giovani chiamati alla leva nella seconda metà dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento, durante le quali venivano "tirati i numeri", ovvero sorteggiate le nuove reclute. All'evento si accompagnavano, soprattutto nel Monferrato, festeggiamenti molto sentiti che coinvolgevano tutta la comunità. In queste occasioni, il dolce più diffuso era la tirà, preparata con le materie prime del pane, arricchita da ingredienti contadini e cosparsa di zucchero. Veniva consumata con il vino migliore, prodotto nell'anno di nascita del figlio e messo da parte per essere stappato nel giorno della festa di leva.
Da quanto ho letto, la tirà si otterrebbe lavorando farina, lievito di birra, zucchero, latte, burro e uova per creare una torta soffice a forma di ciambella, dalla superficie leggermente dorata e spolverizzata di zucchero. Dalle mie parti, invece, per tirà intendiamo dei biscotti rustici, simili a piccole pagnottelle, che si è soliti intingere nel latte, nel marsala o nel vin santo. Un tempo le donne li preparavano nelle proprie cucine per poi cuocerli nei forni comuni, luoghi d'aggregazione contraddistinti da un fitto intreccio di notizie e pettegolezzi. Si tratta di uno spaccato della quotidianità di altre generazioni, di frammenti di storia locale che andrebbero rievocati con nostalgia, anziché posti nel dimenticatoio.
Gli ingredienti necessari per realizzare i tirà nella versione classica sono i seguenti:
Il termine "tirà" deriverebbe dalle feste organizzate in onore dei giovani chiamati alla leva nella seconda metà dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento, durante le quali venivano "tirati i numeri", ovvero sorteggiate le nuove reclute. All'evento si accompagnavano, soprattutto nel Monferrato, festeggiamenti molto sentiti che coinvolgevano tutta la comunità. In queste occasioni, il dolce più diffuso era la tirà, preparata con le materie prime del pane, arricchita da ingredienti contadini e cosparsa di zucchero. Veniva consumata con il vino migliore, prodotto nell'anno di nascita del figlio e messo da parte per essere stappato nel giorno della festa di leva.
Da quanto ho letto, la tirà si otterrebbe lavorando farina, lievito di birra, zucchero, latte, burro e uova per creare una torta soffice a forma di ciambella, dalla superficie leggermente dorata e spolverizzata di zucchero. Dalle mie parti, invece, per tirà intendiamo dei biscotti rustici, simili a piccole pagnottelle, che si è soliti intingere nel latte, nel marsala o nel vin santo. Un tempo le donne li preparavano nelle proprie cucine per poi cuocerli nei forni comuni, luoghi d'aggregazione contraddistinti da un fitto intreccio di notizie e pettegolezzi. Si tratta di uno spaccato della quotidianità di altre generazioni, di frammenti di storia locale che andrebbero rievocati con nostalgia, anziché posti nel dimenticatoio.
Gli ingredienti necessari per realizzare i tirà nella versione classica sono i seguenti:
- 1 kg di farina di grano tenero tipo 00
- 300 g di zucchero
- un pizzico di sale
- 4 cubetti di lievito di birra (circa 100 g)
- 250 g di burro
- 6 uova
- la scorza grattugiata di un limone
Disponete la farina a fontana sul piano di lavoro, aggiungete lo zucchero, un pizzico di sale, il burro ammorbidito, il lievito stemperato in un goccio di latte tiepido, 6 tuorli e la scorza grattugiata. Potete utilizzare un limone non trattato oppure mezza buccia di limone e mezza d'arancia, dipende dai gusti.
Montate a neve ben ferma 3 albumi ed uniteli poco alla volta agli altri ingredienti. Impastate fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo; se la consistenza dovesse risultare troppo asciutta, incorporate una quantità di albumi tale da facilitare la lavorazione (se necessario, anche tutti quelli rimasti, una volta montati a neve).
Terminato questo passaggio, formate un'unica grande palla e lasciatela riposare, coperta da un canovaccio, per circa 12 ore. Quindi impastate nuovamente il tutto, formate dei salamini del diametro di circa 3 cm, suddivideteli in piccoli pani e pizzicateli leggermente sui due lati in modo da formare una sorta di caramella. Passate la parte superiore nello zucchero semolato e disponete i biscotti in una teglia precedentemente imburrata ad una certa distanza gli uni dagli altri (durante la cottura lieviteranno parecchio). Infornate a 200° finchè non risulteranno leggermente dorati in superficie. Sono buonissimi anche tiepidi; il profumo del lievito di birra e degli agrumi è davvero irresistibile.
Per questioni di tempo, spesso sostituisco il formato tradizionale con dei salamini arrotolati su sé stessi a spirale o con semplici panetti zuccherati, eccezionali anche tagliati a fette ed inzuppati nel latte, per una colazione ricca e genuina.